I no e le regole sono
strumenti fondamentali per la crescita, permettono di far confrontare i bambini con il senso del limite ancor prima di entrare nell’età della socializzazione.
Talvolta il genitore si può sentire incapace, inadeguato, sfiduciato nel vedere che il suo bambino non lo ascolta, non tollera i no
e le regole e vuole fare come gli pare …
Per i genitori talvolta appare difficile imporre sostanzialmente limiti, regole, rinunce al bambino perché dispiace troppo vederlo soffrire e limitargli la libertà, l’autonomia, o
piuttosto, perché il tempo per stare con i propri figli sembra essere sempre meno, e quando si sta con loro si vogliono evitare proprie tensioni, conflitti o di assumersi delle
responsabilità. Tuttavia ciò può paradossalmente essere letto dal bambino come un segnale di indifferenza nei suoi confronti.
La frustrazione del bambino legata al fatto di doversi conformare con i limiti
e con le regole è fondamentale per sostenere, elaborare, dare significato e soprattutto superare le frustrazioni future, che, soprattutto quando inizieranno frequentando la
scuola e i suoi coetanei. In alcuni casi confrontandosi con dei limiti si sentirà spiazzato, e potrebbe opporsi ad essi, o in altri casi il bambino si sentirà inibito e potrebbe isolarsi per la
paura di sbagliare.
Se un bambino non incontra mai dei no, non gli viene proibito nulla, gli viene tolta anche la possibilità di trasgredire: tanto tutto è permesso!!
E se non ascoltano e non rispettano le regole? Cosa fare?
Quando i bambini sono tanto insofferenti alle regole e hanno difficoltà
a rispettarle, non bisogna vergognarsene, perché il bambino sente che il genitore in quel momento si vergogna di lui e non del suo comportamento. Per queste è importante rimandargli che non lui,
ma ciò che sta facendo non va bene. Non bisogna arrendersi, con la speranza che qualcun altro, come la scuola, l’allenatore di calcio possa fornirgli quell’educazione (intesa come
limiti) che si non è riusciti a trasmettere, probabilmente per paure personali o insicurezze legate all’essere diventato genitore.
E’ fondamentale non farsi dominare dalle emozioni di paura e di rabbia, non farsi schiacciare dall' impotenza e dall' inadeguatezza, né chiudersi in sé. Ma piuttosto chiedere aiuto ad
esperti professionisti in ambito psicologico che possono fornire strategie, indicazioni, nuove modalità per gestire le emozioni dell’adulto e del bambino, talvolta anche solo nuove modalità per
comunicare i propri bisogni.
Per ulteriori informazioni ed appuntamenti
Dott.ssa Rossella Bianco
• L’espressione Bisogni Educativi Speciali
(B.E.S.) compare con la Direttiva ministeriale del 27 Dicembre 2012: da quel momento l’attenzione si pone sui bambini che hanno bisogni speciali.
Un bisogno educativo speciale è una qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e di apprendimento, che si esprime in un funzionamento
problematico ; per cui necessitano di percorsi formativi specifici per garantire l’apprendimento .
• Con l’acronimo B.E.S. si indicano una vasta area di alunni: con disabilità, disturbi evolutivi specifici ( dislessia, discalculia, deficit del linguaggio, disturbo da deficit d’attenzione e dell’ iperattività ), con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.
• Cosa fa la scuola?
Gli insegnanti attraverso osservazioni, spesso in collaborazione della famiglia redigono un Piano Didattico Personalizzato (PDP) .Nello specifico di utilizzare strumenti compensativi e dispensativi , esonero per l’insegnamento delle lingue straniere quando utile, per favorire il processo dell’apprendimento. Agli studenti con Bes sono garantite, durante il percorso d’istruzione e di formazione scolastica ed universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione. Gli insegnanti introducono nuove metodologie, volte all’ inclusività, stili d’apprendimento diversi per rispondere ai diversi bisogni dei propri alunni.
MISURE DISPENSATIVE
• Si esonera l’alunno da prestazioni non essenziali che non riuscirebbe a realizzare
• Evitare di far leggere a voce alta
• Evitare lo studio delle lingue straniere in forma scritta
• Non valutare lo scritto
• Non pretendere l’uso di vocabolari
• Evitare lo studio delle tabelline
• Evitare verifiche a sorpresa
• Preferire le verifiche orali o a scelta multipla
• Ridurre il carico del lavoro o dare più tempo
STRUMENTI COMPENSATIVI
• Mediatori didattici/aiuti che rendono possibili prestazioni che diversamente l’alunno non riuscirebbe a realizzare
• testi facilitati, con caratteri di scrittura chiari, spaziature personalizzate…
• Schemi e mappe, formulari
• Domande guida per la comprensione, date prima della lettura del testo
• Lettura vicariante o sintesi vocale
• Tavola pitagorica e/o calcolatrice
• Uso dei colori per evidenziare/organizzare il testo
• Altro, a seconda delle specifiche esigenze
Tuttavia in alcuni casi il pronto intervento e la collaborazione della scuola e della famiglia non è sufficiente,
soprattutto quando è compromessa fortemente l’area emotiva è necessario chiedere aiuto ad esperti dell’ età evolutiva.
Diversi studi dimostrano che le difficoltà emotive incidono sulla capacità dell’ apprendimento e sui risultati scolastici. I bambini con bisogni educativi speciali durante il loro percorso scolastico possono incontrare rilevanti problematiche emotive–relazionali: difficoltà emotive (espressione, riconoscimento e gestione delle emozioni, soprattutto della rabbia ) scarsa autostima, ansia, paura di non riuscire, inadeguatezza, insicurezza , scarsa motivazione allo studio.
Attraverso un percorso psicologico è possibile aiutare lo studente nella gestione della propria emotività e migliorare le prestazioni scolastiche.
Per informazioni ed appuntamenti contattare:
la Dott. ssa Rossella Bianco Psicologa, Psicoterapeuta , docente presso la scuola Primaria
esperta delle problematiche dell’ età infantile- adolescenziale in ambito psicologico, didattico- educativo.
Si tratta di una sindrome molto frequente e diffusa che colpisce, secondo alcune ricerche recenti, circa il 40% dei lavoratori nella fascia tra i 25 e i 50 anni. Non è una vera e propria malattia, ma una condizione di malessere che giunge ritornando a lavoro dopo un lungo periodo di ferie. La sindrome da rientro è dunque un disturbo dell’adattamento, che può comparire quando si passa da un periodo di relativo riposo a un periodo di impegni. Al ritorno dalle vacanze ognuno di noi vorrebbe essere super carico, super energico, ma in realtà i primi giorni ci si sente poco energici e non è facile arrivare a sera, ci si sente demotivati e non si dorme bene. In questo modo rischiamo di buttare via in poco tempo il benessere accumulato in vacanza.
I sintomi più frequenti avvertiti al rientro dalle vacanze: ansia, insonnia, nervosismo, spossatezza eccessiva, apatia. Si sente difficoltà nel concentrarsi, pesantezza e irrequietezza: non ci sente pronti ad affrontare le responsabilità e i doveri quotidiani. Si avverte un malessere generale accompagnato da astenia, irritabilità e sbalzi d’umore rapidi.
Il prof. Barbanti, Primario Neurologo dell’ IRCCS San Raffaele Pisana ritiene che lo
stress sia la risposta endocrina attivata dal sistema nervoso quando il cervello sente di dover affrontare una situazione stressante.
A livello fisiologico i sintomi della sindrome da rientro sembrano essere conseguenze dovute allo stress, che agiscono sull’asse ipotalamo-ipofisi-surreni. I surreni producono
l’adrenalina e il cortisolo, ormoni legati allo stress che hanno diversi effetti sull’organismo, tra cui: aumento della pressione sanguigna, aumento della glicemia (livelli di
glucosio nel sangue), aumento del metabolismo, aumento del ritmo respiratorio, diminuzione della memoria, perdita del tono muscolare. In estate l’asse ipotalamo- ipofisi-
surreni viene messo un po’ a riposo rispetto al ritmo abituali; il rientro dalle vacanze, soprattutto se avviene rapidamente, costringe questo asse (in particolare i surreni) a un
“superlavoro” a cui non è immediatamente pronto, e così si possono presentare difficoltà a rispondere alle esigenze della vita di sempre.
A livello psicologico la vacanza si sogna tutto l'anno, e quando finalmente riusciamo ad averla sembra passare troppo in fretta, e non ci risentiamo pronti a ricominciare con il tram tram di tutti i giorni tra lavoro e scuola. In più purtroppo, spesso rientrando si ripropongono i problemi legati al lavoro, tra cui una riorganizzazione del team.
È necessario sapere che un periodo di assestamento fisico e psicologico dopo il rientro delle vacanze è normale sia per gli adulti che per i bambini.
Molti dei sintomi sopra elencati , tra cui soprattutto ansia, spossatezza, nervosismo e sbalzi d’umore, colpiscono anche i più piccoli, che appaiono insofferenti e diventano poco gestibili dai genitori, poco inclini ad arrabbiarsi se non vengono rispettate le regole al rientro delle vacanze. Fondamentale anche andare a letto la sera a orari regolari e mai troppo tardi, come accade spesso in vacanza. Per contrastare questi disturbi e riacquistare l’equilibrio psicofisico è fondamentale seguire prima di tutto un’alimentazione bilanciata. È fondamentale mantenere un peso corretto e non esagerare con l’assunzione di alimenti: un eccesso calorico non aiuta l’organismo a sentirsi più energico ma peggiora il senso di stanchezza e di malessere. Il nutrizionista Pietro Migliaccio, presidente della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione, consiglia di consumare pasti a base di pollo o pesce, accompagnati da verdura cruda o cotta, frutta e pane. Questi alimenti assicurano all’organismo proteine, carboidrati, vitamine, sali minerali e antiossidanti che migliorano le funzioni delle sinapsi a livello cerebrale e quindi le capacità intellettive degli studenti.
Per i ragazzi rispetto gli adulti le vacanze sono molto più lunghe e ciò contribuisce a rendere più stressante il ritorno a scuola. E’ consigliabile non avere un atteggiamento troppo rigido, ma al tempo stesso ribadire le regole, aiutarli a rispettare i nuovi orari e ridurre il tempo davanti a videogiochi e tv. Favorire giochi all’aperto, lo sport con gli amici, movimento all’aria aperta : l’attività fisica aiuta a diminuire lo stress e a riposare meglio la notte. La luce del sole inoltre mette di buon umore ed aiuta ad essere più rilassati. Magari incontrare qualche amichetto con il quale giocare e condividere i nuovi ritmi abituali.
Seguire semplici regole per affrontare la “sindrome da rientro”:
(Ist. San
Raffaele Pisana):
Soprattutto abituarsi con gradualità: rientrare dalle vacanze alcuni giorni prima della fine delle vacanze per poter tornare alle temperature e ai ritmi cittadini senza un forte impatto. Se possibile, anche il lavoro andrebbe ripreso gradualmente.
Il sonno. Resettare il ritmo sonno-veglia:
bisogna riabituarsi in modo progressivo a rispettare orari più regolari, cercando di andare a letto prima, per riuscire a svegliarsi al mattino a un’ora consona agli impegni.
Dormire molto e bene, evitando di passare dalle 8-10 ore di sonno del periodo vacanziero alle 6-7 che ci si concede al rientro. Eventuali problemi di insonnia vanno affrontati aiutandosi con un
bagno caldo la sera o con una tisana.
Evitare tecnologia a letto. Non tenere in camera da letto né computer, né cellulare, né televisione, perché il cervello potrebbe smettere di associare quella stanza al momento del sonno, considerandola alla stregua di un “prolungamento” del salotto.
Movimento. L’esercizio fisico è un grande alleato contro lo stress. Fare esercizio fisico, correre, camminare, fare passeggiate in bici vi potrà far stare meglio. Muoversi fa bene a livello fisico, ma anche mentale, perché si producono endorfine.
Alimentazione corretta. Il cervello ha bisogno soprattutto di zucchero, perciò ben vengano, nelle giuste quantità, pasta, pane e frutta.
Stare alla luce del sole. Il passaggio dalla luce del sole in spiaggia a quella artificiale dell'ufficio può mettere sotto stress il corpo e la mente. Un consiglio: fare la pausa pranzo all'aria aperta.
Relax. Finché il tempo lo consente, dedicare il fine settimana al relax e alla famiglia come se le vacanze non fossero ancora finite, per ricaricarsi e iniziare al meglio la nuova settimana. Ad esempio programmiamo un weekend alle terme, una gita fuori porta o in qualche località vicina in cui ci siano eventi o sagre. Ci servirà per attenuare il senso di “perdita” dopo la fine delle ferie e per ritrovare il nostro buon umore.
Essere ottimisti. Pensare positivi aiuta a ritagliarsi degli spazi di riflessione e a spostare l’attenzione su cosa desideriamo e sulle nostre capacità.
Prendersi delle pause frequenti. Fermarsi 15 minuti ogni due ore per riattivare la circolazione e riposare gli occhi.
Tornare a scuola con gradualità. Dopo tre mesi di vacanza, per i bambini è ancora più importante tornare al ritmo della scuola gradualmente. Occorre dare al bambino il tempo di abituarsi alle lunghe ore che trascorrerà seduto.
E se non passa?
Se il malessere persiste dopo le tre settimane e non ci si riesce ad adattare alla vita di tutti giorni, a scuola o a lavoro, allora bisogna chiedersi che cosa c'è che non va: non è più
possibile parlare di stress da rientro. Molto probabilmente c'è qualcosa che non va e bisogna rivolgersi al proprio medico per escludere qualche patologia organica e/o a uno psicologo per
ritrovare il benessere psico-fisico.
Dott.ssa Rossella Bianco
Psicologa, Psicoterapeuta Umanistico Bioenergetica
Il lavoro ormai è divenuto lo strumento per misurare le proprie capacità e realizzare se stessi. Le persone, che impiegano la maggior parte delle loro risorse per ottenere potere e fare carriera, possono essere colpite da burnout.
Il termine burnout è difficile da tradurre,letteralmente significa bruciarsi, o andare in corto circuito. Non si tratta di semplice stanchezza, ma di un logoramento o di
affaticamento generale delle proprie energie soprattutto sul posto di lavoro.
Le persone che sono coinvolte in modo eccessivo, che si sono fatte consumare dal proprio lavoro, non riescono a vivere nella dimensione dell' "essere", ma solo nella dimensione del "fare".
La sindrome di burnout è dunque correlata allo stress dovuto alla pressione dell'ambiente lavorativo.
Dal punto di vista clinico (psicopatologico) i sintomi del burnout sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso- depressivo e somatizzazioni
Sintomi da Burnout:
intomi da Burnout
Tra le variabili correlate alla sindrome del Burnout la letteratura scientifica riconosce la fatica fisica, il ruolo di sostegno, la relazione con le persone gravemente malate, la gestione pratica del lavoro e la burocratizzazione del lavoro.
Dunque la sindrome da burnout è una malattia professionale che toglie energia ai professionisti con gradualità costante finché la persona non riesce più a riprendersi ed esprime un deterioramento che interessa non solo il fisico ma anche la dignità e la volontà.
Per malattie professionali si intendono quelle patologie correlate al lavoro e quindi causate dall’attività professionale ed il cui onere della dimostrazione ricade sul professionista.
Allo stato attuale il Burnout non è riconosciuto dall’INAIL in modo specifico.
Le professioni più a rischio di andare incontro al Burnout sono le "professionj d'aiuto" o la categoria di operatori che offrono educazione, sostegno e cure alle persone in difficoltà, come operatori sociali, medici e infermieri, insegnanti, pompieri,poliziotti, assistenti sociali.psicologi e psicoterapeuti.
Il modo migliore per prevenire il Burnout è sicuramente quello di puntare sulla promozione dell'impegno nel lavoro e sulla formazione continua per aumentare l'energia, il coinvolgimento, la soddisfazione e l'efficacia dei professionisti.
http://www.promozionesalute.org/gennaio2013/damiani.php
“In tutto il mondo non esiste nessuno che sia come me. Io sono io, e ciò che sono è unico.
Io sono responsabile per me stessa, dispongo di tutto ciò che mi serve per vivere pienamente qui e ora.
Posso scegliere di mostrare il meglio di me, posso scegliere di amare , di essere preparata, di trovare un senso nella mia vita e un ordine nell’ universo, posso scegliere di migliorarmi,
di crescere e di vivere in armonia con me stessa, con gli altri e con Dio. Sono degna di essere accettata e amata proprio così come sono, qui e ora. Io mi amo e mi accetto, io decido di vivere
pienamente a partire da oggi.”
(Virginia Satir)
L’autostima rappresenta un giudizio complessivo che la persona dà su se stesso, sul proprio aspetto fisico, sulle proprie competenze, sui propri risultati personali e professionali.
Ciascuno di noi può eccellere in quasi tutti i campi , ma può ritenersi scarsa proprio nell’ ambito in cui si investe maggiormente le proprie risorse, ciò determina ripercussioni sull’ autostima globale.
Ad esempio un bambino che è molto a scuola, ha ottimi voti, ma non riesce a fare goal durante le partite di calcio, (sport che gli piace tanto, e che pratica regolarmente anche suo padre), al quale dà tantissimo valore, ma verso il quale non si sente portato; ciò abbassa la propria stima di sé e mette in secondo piano i successi riportati a scuola.
Normalmente l’autostima aumenta quando viviamo rispettando i nostri valori personali e diminuisce ogni qual volta che il nostro atteggiamento e il nostro comportamento non è coerente con
questi valori, per cui ci sentiamo messi in discussione.
L’autostima dunque può essere alta o bassa e influenza le modalità con cui reagiamo agli eventi.
Le persone con alta autostima si distinguono :
Anche le persone con bassa autostima si distinguono in due categorie:
Bracken ( 1993) definisce l’autostima come un costrutto multidimensionale dividendola in sei aree: relazioni interpersonali, competenza di controllo sull’ambiente, emotività, successo scolastico, vita familiare, vissuto corporeo. Tali aree nei bambini negli adolescenti e negli adulti si sovrappongono e sono in continua interrelazione, per cui modellano la personalità ed influenzano le reazioni ai successi e ai fallimenti, la motivazione e anche i risultati in ambito scolastico, professionale e relazionale.
Concludendo, per avere una buona stima di sé sono fondamentali i seguenti aspetti:
Amare se stessi è fondamentale nella nostra vita, e ci permetterà di amare in modo più sincero anche gli altri. Amare se stessi vuol dire essere consapevoli di avere un valore che niente e nessuno può alterare o sminuire.
Tendiamo a
misurare il nostro valore attraverso le opinioni che gli altri hanno di noi: per queste ragioni capita che le critiche ci danno fastidio perché ci fanno sentire “sminuiti” e non apprezzati e le
lodi ci fanno piacere. Chi si ama non si lascia influenzare dai giudizi degli altri, perché è consapevole di quanto vale.
L’amore tra due persone è caratterizzato da un equilibrio tra il dare e il ricevere. Quando questo equilibrio si inclina si può si può scivolare nella dipendenza
affettiva.
La dipendenza affettiva è una forma patologica di amore...
Venerdì 25 novembre
incontro accessibile a tutti e gratuito
Stabilimento Termale Excelsior
Viale Verdi 61
Email: bianco.rossella@gmail.com
Telefono: 3396428749
Cos'è la depressione ? Come si manifesta? Come possiamo aiutare chi ne soffre?
La Depressione è un disturbo dell’umore.
Chi presenta i sintomi della depressione mostra e prova frequenti e intensi stati di insoddisfazione e tristezza e tende a non provare piacere ed interesse nelle comuni attività quotidiane.
Le persone che soffrono di depressione presentano pensieri negativi e pessimisti circa sé stessi e il proprio futuro.
Negli adolescenti la depressione si manifesta soprattutto con la rabbia, noia, apatia e con comportamenti dirompenti.
Puoi saperne di più...
incontro accessibile a tutti e gratuito
venerdì 18 novembre, ore 16.00
in Viale Verdi, 61
Stabilimento Termale Excelsior
Email: bianco.rossella@gmail.com
Telefono: 3396428749
L'alimentazione è connessa con la vita emotiva... il cibo fin dalla nascita si intreccia con la vita affettiva.
Pensiamo all'allattamento, allo svezzamento e a tutti i vissuti emotivi connessi a queste esperienze!
I pasti scandiscono da sempre i ritmi della giornata, ed ogni evento importante della nostra vita sembra essere accompagnato da banchetti alimentari attraverso i quali socializziamo e festeggiamo.
Non si mangia solo per fame ...
Quale ruolo hanno le nostre emozioni sulla nostra fame?
incontro accessibile a tutti e gratuito
venerdì 11 novembre, ore 16.00
in Viale Verdi, 61
Stabilimento Termale Excelsior
Email: bianco.rossella@gmail.com
Telefono: 3396429749
Progetto Essere BenEssere
Nei 5 incontri gratuiti saranno affrontati temi specifici sulla salute psicofisica, sono rivolti a quanti vogliono approfondire :
Stress e ansia : venerdì 4 novembre ore 16:00
Peso corporeo ed emozioni : venerdì 11 novembre ore 16:00
Depressione: venerdì 18 novembre ore 16:00
Relazioni amorose: venerdì 25 novembre ore 16:00,
Attacchi di panico: venerdì 2 dicembre ore 16:00.
La psicologia dei colori descrive il significato psicologico oggettivo delle varie tonalità. In linea di massima, i colori caldi (giallo, arancione e rosso) sono aggressivi, irrequieti o stimolanti e positivi, mentre quelli freddi (violetti, blu e verdi) sono negativi, scostanti e riservati, tranquilli o sereni.
I colori evocano differenti emozioni in noi.
Lo psicologo, psichiatra e filosofo svizzero Max Luscher nel 1949 ha rilevato che la particolare attrazione o repulsione nei confronti di un determinato colore sia riconducibile a particolari stati psicofisici ed emozionali; quindi che i colori parlano di noi, dando precise informazioni sui nostri bisogni, desideri, rifiuti, paure ...
In principio la vita era regolata dalla notte e il giorno , l’oscurità e la luce . La notte le attività venivano cessate e l’uomo si rifugiava nelle caverne o sugli alberi per dormire; il giorno, invece, era occupato per agire e rifornirsi di cibo. I colori associati a questi due momenti della giornata sono il blu scuro del cielo di notte e il giallo della luce di giorno. L’azione dell’attacco e della conquista è rappresentato dal colore rosso, mentre la difesa dal verde.
Arancio: è un colore vibrante e accogliente; simboleggia attenzione e ricerca, attesa, allegria, cambiamento.
Verde: è natura, ambiente, vita, crescita, perseveranza, ostinazione, sicurezza.
Rosso: simboleggia regalità, spiritualità, passione, desiderio, amore, crudeltà, potere.
Blu: simboleggia la calma, la tenerezza, l'armonia, la fiducia, la pulizia e la lealtà.
Marrone: simboleggia neutralità, terra e caldo.
Grigio: simboleggia intelligenza, solidità, maturità e tristezza.
Bianco: è pulizia, innocenza, spazio, purezza, castità, semplicità e pace. Ma anche morte (culture orientali), freddezza e sterilità.
Viola: identificazione infantile, fascino sugli altri, immaturità.
Nero: abbandono, rinuncia; simboleggia lutto e morte (culture occidentali), cattiveria, infelicità, tristezza, rimorso e rabbia.
E’ stato dimostrato che avere stima di sé è fondamentale per imparare, crescere e vivere. I bambini che hanno fiducia nelle proprie capacità e nel proprio valore sviluppano un atteggiamento
positivo. Posso farcela! E’ una convinzione che li aiuta a diventare grandi, forti, comprensivi e responsabili. Chi invece non vede sé come una persona meritevole e competente avrà
tanti ostacoli, vivrà una vita priva di significato e non riuscirà ad aiutare gli altri”.
( Cit.)
Ogni persona ha un valore proprio indipendentemente dall’ aspetto, da ciò che possiede sul piano materiale e delle proprie prestazioni: per essere felici bisogna avere stima di se stessi , o almeno avere un giudizio di sé accettabile. L’autostima comincia a partire da una relazione d’attaccamento: il legame affettivo tra il bambino ancora piccolo e i genitori è il nucleo basilare.
I genitori sono responsabili dello sviluppo dell’autostima dei propri, sono figure fondamentali perché li aiutano a apprezzare se stessi, e a sviluppare una percezione di sé positiva.
Componenti fondamentali dell’autostima sono:
I bambini giungono ad avere una bassa o alta autostima interagendo con l’ambiente che li circondano, oggetti e persone, acquisiscono nuove informazioni e nuove percezioni su di sé
che influenzano il mantenimento o la modifica della propria dignità e valore.
Se ricevono messaggi costantemente negativi è probabile avere una bassa autostima, mentre se avvertono conferme riguardo la dignità e il loro valore possiedono alta autostima.
Verso i tre o quattro anni il bambino inizia a prendere iniziative e sente il bisogno di essere tenuto in considerazione, cerca di essere valorizzato e riconosciuto.
Per dare un giudizio su sé, devono trascorrere alcuni anni, verso i sette o otto anni, giudicando secondo la logica, pian piano compare un pensiero critico nei propri confronti, per cui riesce ad attribuire il proprio valore personale in ciascun ambito della propria vita (relazioni con i genitori, con gli amici, a scuola…).
Il bambino così inizia valutare sé stesso attraverso le proprie azioni, le sue parole, i suoi comportamenti ed ad esprimerla con gli altri.
Per costruire delle solidi basi per l’autostima è importante che gli adulti ascoltino con attenzione i bambini, e che quest’ultimi sappiano che i genitori siano in grado di capire quello che pensano e provano dentro.
L’adolescenza, caratterizzata dai cambiamenti fisici, dagli sbalzi d’umore, dalla necessità di prendere le distanze dai genitori, e dal bisogno di trovare la propria identità, è una tappa evolutiva importante per lo sviluppo dell’autostima.
Per l’autostima è necessario che la figura adulta faccia notare quando il bambino compie qualcosa di positivo, sottolineando l’azione e mostrandogli di esserne fiero, così il bambino riesce a rendersi conto che ha fatto un bel gesto.
Ricevendo reazioni positive con regolarità il bambino pian piano interiorizza una buona autostima, che da prevalentemente estrinseca (relativa alle reazioni degli altri) diventa intrinseca. L’autostima è dunque la valutazione positiva che i bambini hanno di sé, basata sulla coscienza del proprio valore in diversi ambiti.
I cinque principi dell’autostima per crescere bambini sicuri e fiduciosi:
1) Ascoltare i figli: trovare il tempo per ascoltarli, dare attenzione quando parlano e mostrare loro empatia, comunicandogli che sono accettati e hanno valore.
2) Aiutare i figli a sperimentare il successo: prima che si possano confrontare con situazioni difficili, con i fallimenti, i genitori possono creare situazioni specifiche in cui farli sperimentare.
3) Insegnare ai figli l’autonomia: controllare l’ambiente in cui si vive,ma evitare di divenire iperprotettivi, in quanto ciò comunica loro un senso di inadeguatezza e una sensazione di incapacità.
4) Rafforzare nei figli la convinzione di essere capaci e degni d’amore: comunicare loro con lodi, abbracci e coccole, piccole ricompense (non necessariamente giochi) che sono degni d’amore, competenti e bravi.
5) Presentare ai figli un’immagine positiva di se stessi: i bambini imparano attraverso l’imitazione e gli esempi delle figure adulte, per cui i genitori devono mostrare atteggiamenti e comportamenti positivi nei confronti di se stessi.
“Trattate le persone come se fossero come dovrebbero essere
e aiutatele a diventare ciò che sono capaci di essere”
( J. W. Von Goethe)
Cosa sono le emozioni?
Non è facile dare una definizione semplice e concisa delle emozioni, dal momento che sono oggetto di studio e di approfondimento continuo.
La parola emozione viene dal latino e-moveo che significa “movimento da” , ciò suggerisce che tale termine implica la tendenza ad agire; infatti, inizialmente erano considerate “impulsi ad agire” (Goleman,1996). Le emozioni implicano quindi un andare verso una situazione piacevole o andare via da una situazione spiacevole.
Le emozioni implicano la risposta immediata soggettiva ad un evento, le modificazioni fisiologiche, le componenti cognitive, i comportamenti espressivi e motori.
Alcuni autori definiscono sei emozioni fondamentali: gioia, tristezza, paura, rabbia, sorpresa e disgusto.
Le emozioni vengono provate perché motivano l’individuo a compiere delle azioni vantaggiose per mantenere lo stato di benessere e per la sopravvivenza umana.Ad esempio le espressioni facciali sono indicatori delle emozioni; il sorriso segnala volontà di piacere, desiderio di continuare, o l'aggrottamento delle sopracciglia comunica dispiacere . Le reazioni emozionali servono per comunicare i bisogni, i desideri: ad esempio
il bambino comunica i suoi bisogni alla mamma attraverso le sue emozioni, che sembrano essere finalizzate a promuovere l’accudimento efficace. L’emozione dà informazioni su come sta la persona che la esprime o cosa sta succedendo all'interno, cosa accade dentro di sé per cui prova ciò che prova.
COLLERA: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione, irritazione, acrimonia,animosità, fastidio, irritabilità, ostilità, odio e violenza patologici.
TRISTEZZA: pena, dolore, mancanza d'allegria, cupezza, malinconia, autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione, depressione.
PAURA: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela,esitazione, tensione, spavento, terrore, fobia e panico.
GIOIA: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto, divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione, soddisfazione, euforia, capriccio,
entusiasmo.
AMORE: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione, adorazione, infatuazione, plagio
SORPRESA: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento
VERGOGNA: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione, rimpianto, mortificazione
DISGUSTO: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.
Plutchik ipotizza l’esistenza di 8 emozioni primarie. L’interazione di due emozioni primarie produce un’emozione secondaria.